cristallino

di fianco la lingua francese
come una pioggia di suoni
mi becca tre ossicini, vibrano
in un cinguettio i dittonghi,
onda, oscilla il corpo in un deviatoio,
una breve esitazione della vista,
anch’essa come il binario
si sdoppia e se un’idea
di buio tuona forte
un chiarore infedele
la smentisce, tuttavia,
sul nulla piega più della notte.

vanessa

la vanessa del cardo, un vento che in migrazioni
segrete colora leggiadrie e involontarie curve,
si lascia trasportare con ali ferme, intuendola
da terra sperimentiamo il limite di una legge
fisica, tocchiamo minutissime squame, la polvere
nostra di passioni e sogni e modificando un equilibrio
cadiamo in una frequente primavera,
soli a rincorrere imprendibili ragioni.

l’uomo venuto dal mare

a quei consacrati decumani appartengono
i tendini e con le falangi protese,
confuse al mito sommerso,
la donna chiede al mare di mutarla,
di circondarla con una bianca onda,
solo specchiandosi termina
in una sommità oscura, volubile,
che la natura di lui sa svelare.
Ora che sono brevi come una vertigine
-un limite estremo del conosciuto-
si scambiano, egli è un tempo curvo-
una memoria sensoriale del suo corpo-