Filming in progress

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Fotografia di Stefano Fabbri

-Soggetto-

Gregari si affollano sulla
cordialità della terra,
coadiuvano il regista
nell’opera completa

di decostruzione
del personaggio,
messi in luce i vuoti,
inscenano un pianto,

pose studiate da vittima,
caritatevoli toni di riguardo-
gli attori lasciano lo schermo-
indossano maschere nõ.

-Trattamento-

Si inquadrano
chiarori d’alba, micro furori
di foglie e una lenta
ossidazione dei tramonti,

la terra è percorsa
dalla semplicità della luce,
nello spettatore
l’interezza del paesaggio

e l’intenzione di tacerne
la poesia, perché si eviti
di piegarla alla proclamazione
del sé, perché si provi

l’esistenza della più lunga
lirica fitta di silenzio,
la scena non richiede
protagonisti solo

minime comparse,
diagonali rapidissime
di emozioni, la terra pura
non canta.

-Scaletta-

Terra ha moltitudini
di occhi-la non attrice
ha per occhi i cieli-
e labbra incolore,
talvolta, quando piove,
parla, l’universo
misurato del suo sguardo
trova l’equilibrio dell’umano silenzio.
La non protagonista
-eppure ruolo
principale- ha per bocca
splendide pozze di cielo.

il copione prevede
la comparsa di una ragazza,
gira una lunghissima
scena d’amicizia

e pochi fotogrammi
del segreto, l’uomo è invisibile
eppure tutti lo vedono sulla scena,
la ragazza lucida lo stiletto

si aggiungono altri vuoti protagonisti,
ciascuno contiene il pieno feroce del gesto,
si levano insieme i pugnali,
si gira l’inganno del quotidiano.

La pellicola si interrompe bruscamente,
la malattia occupa il titolo di intervallo,
mezzanotte, ombre meschine accendono
i roghi, un odore acre assale terra e le gole.

Il film riprende nel tratto ferroviario
Bologna-Milano, qui terra
è un’ape, si muove lentissima,
ad una velocità inidonea alla scena,

il passaggio del treno provoca
uno spostamento d’aria fortissimo,
è stanca di bottinare, porterà
al favo qualche ogm in meno.

Riappaiono personaggi inutili
collocano confini e limiti invalicabili, siedono
su poltrone pulitissime e decidono
che fare dei territori promessi da Dio.

Terra è il lutto
d’ogni guerra, le notti
buie in Palestina,
il corpo senza vita degli innocenti.

I potenti, usando il solo pino della scena, scendono
su terra, a questo punto la cinepresa inquadra
un palco dove è in atto
una rappresentazione teatrale

i personaggi, tutti, danzano,
il protagonista è avvolto in vesti d’oro,
muove passi lentissimi e cadenzati,
gesti essenziali.

Terra è in ginocchio, vive
il tempo di ieri
e il presente, il danzatore
in modo controllato, insieme a tutti

i personaggi, la attornia,
si coprono il volto con maschere nõ
e lentamente, ad uno ad uno,
escono di scena.

post meridiem

Perché dalla fedele esecuzione
di un programma di riproduzione audio la macchina
ci rende all’insieme sublime
cui apparteniamo e la vita
quotidiana ci dimentica
agli angoli tra il vuoto di un calcolo
e la stanchezza delle rapide
voci che ci scambiamo.
È come se il tablet che mi hai regalato,
nella sua memoria, abbia più spazio per noi,
più cura per i nostri stupori
che la mente stessa sciupata dai giorni.

Leda e il cigno

Districa i nodi dell’orgoglio,
ti affido un’identità,
l’appartenenza e la memoria,
tu che conosci tutte le mie ombre

risolvimi
lascia che io resti nella libertà
di questo parco,
con lo sguardo alto, perso tra

l’azzurro del cielo
e il frusciare verdeggiante delle foglie,
che il mio sguardo continui a parlare
con il silenzio duro

delle pietre o che sia il cigolio
delle altalene la verità della mia voce,
lascia che possa finalmente
allontanare tutto, con la semplicità del vento sul viso.