come una sferza fatta di funicelle
e stretti nodi mi hai aperto la pelle,
ferite e fede giacciono irretite,
senza stelle,
la tua notte è un passo di vetro
una stilla nera che non smette,
l’alba il mio vuoto, un tremare
di foglie muto.
*
lascia solo che capisca
tutto dalla perifrasi,
dalla voce che dice
tieni, ti affido il vento
*
un fiore solo guarda la bellezza
esatta dei corimbi e trema
nelle foglie, nel teorema che assume
meno solitudine, più amore.
*
parole di corteccia, silenzio,
nudi come siamo aspettiamo
la lama e l’ora che ci stacchi
dalla bocca tutto il sapore buono.
*
in te avevo la parte di me
lieve al mondo, in me,
dopo che dici finiamo,
l’io greve che sono.
*
cerchi solo un asilo notturno
dalla mia bocca, l’ambita
attenzione, io preparo l’acqua eterna
e i fiori per divinarti da lontano
*
non sigillare con la ceralacca
questo cuore, ai margini delle lacrime
amare, piano, dico piano, dalla tua bocca
offrimi ancora da bere
*
sotto casa piove
un ultimo saluto,
non fissare nello sguardo
il suo spazio vuoto.
*
il mondo dietro le spalle,
il peso di un grammo d’affetto,
stai a me, stammi ancora,
è questo che voglio!
*
tu che non sei quello che volevo
tu che sei quello che amo
ascoltami io ti tengo, io ti prendo,
io ti canto.
Mese: novembre 2016
unio 2
Tu non ci sei, taci,
l’ennesimo che attecchisce
disinteressato, che segue
altre orbite, tu che non m’appartieni.
Come un satellite gibbosa nel silenzio
cresco uno sguardo torvo,
lo punto sui comignoli prossimi
all’inverno tremando nelle piume remiganti
e nella madre luna che riflette
sopra il mare calmo della sera
un lucore algido.
*
nel passaggio d’energia dalla tua mano alla mia
tutto quel che può il calore di una carezza, nel silenzio
una fonte, un sistemaforma in cerca
di un’unica perfezione, un contatto
privo dell’errore insito nella parola, negli intenti,
tu metti la tua mano e il suo muto calore sulla pelle
io foggio con te una sola inconsapevolezza,
piccoli bagliori primitivi, privi del pratico,
che prendono appena il necessario così
da pulsare leggeri, da ripetersi, senza insensato
e ragioni che smarriscono, che ci rimettono
alla solitudine, al potere divinatorio
che unicamente le acque hanno
scorrendo, chiarificando il perduto, sciogliendo
il cielo inesauribile e il pianeta alveo pronto
a riceverle e in cui di fatto scorrono, si riprendono.
CAPOGATTO piccola recensione
E niente Massimo Botturi rileggo ancora e mi dico “sono io quella” e mi pizzicano gli occhi, poi penso, lui dice essere uno spaccato di luce in un mare di ombre e ci resto sospesa e felice. Grazie. La rileggerò mille volte, tutte le volte che avrò paura di cadere, tutte le volte che sentirò di essere banale, ogni volta che la penna o le dita resteranno ferme sul foglio bianco. Allora, in quei momenti sarai la forza necesessaria per rialzarmi. Io ti sono grata
Non ho gli strumenti del colto, del letterato. Posso usare semplicemente quelli di un lettore, un lettore appassionato e curioso, se non propriamente sempre attento e puntiglioso. Ecco, con questo approccio mi accingo a scrivere di Capogatto.
Comincio col dire che ho chiesto aiuto a una matita, per sottolineare, cosa che faccio raramente, ciò che ritenevo il fulcro o la sostanza trainante di ogni singolo testo.
Non una parola è in più, o fuori luogo nel libro, nemmeno nelle parti più prosaiche che tra l’altro, racchiudono un’eleganza formale impeccabile, senza cadere mai nella leziosità o nella freddezza. Il cuore è onnipresente, inteso come partecipazione dolorosa, sofferta, a tratti rabbiosa; alla fatica di un’esistenza che non cessa mai un attimo di chiederci conferme, prove, coraggio, atti di eroismo.
La parola inverno ricorre spesso in Capogatto, come se la necessità di raccontare un periodo “congelato” spingesse la poesia, la nutrisse con la…
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