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ma poi cosa ti sopravvive 
se la parola è un simulacro
e le ortiche affollano 
la cavità dove tace 
la raffigurazione della tua divinità, 
quella venere mutilata dove
crescevano le rose e le mani 
volte a svestire della polvere
marmoree rotondità, le tue
due piccole lune crescenti,
l’impressione delle loro orbite 
nei miei occhi,
cosa ti sopravvive in questi giorni
di pietra dove anche la quiete
di un ragno è rotta dal clamore
del mondo, solo quei minuti
fogli tra le piastrelle, 
un testamento di versi, la tua 
poesia per lei sparita? cosa mi resta
se non due nomi e una data?

*

il principio, la durata, 
la fine nella temperatura 
di un muscolo, la contrazione 
di un attimo, se
le mani districassero il tempo,
se negli orecchi i colpi tuonassero
come armi e le bocche fiatassero
all’unisono un odore saremmo
animali delle nuvole
complici negli occhi 
di un operaio che fabbrica sogni
in un’officina di grazie