registro

Pensa a quanto controllo si renda
necessario per uno solo
dei gesti mancati, la mano
coerente, la mano trema,
quanto desiderio ignori la popolazione
elementare dell’immagine,
il più piccolo dei suoi
dot, la mano sfiora, la mano vuole;
quantifica ti prego
la voce che sacrifico
nell’apnea della ragione
la mano anticipa, la mano preme.

perdita – 18

derisi, stretti in questo dismorfismo,
in questa miopia, certi
dell’inesorabile putrescenza del corpo,
resettati negli anni come programmi.
Essere solo nei ricordi,
nelle motivazioni, sugli aerei,
alle riunioni, certo, c’erano
le stanze anonime d’albergo
e la perdita breve della memoria,
ma si aveva dignità, questo Dio
oggi mutilato, polverizzato in un mucchio
stanco di carne e ossa.

Qui la bellissima interpretazione di Franco Picchini che ringrazio di cuore

appunto su una ripetizione

Soltanto come muovi la bocca,
come la lingua, il corpo,
come contengono le mani,
come filtra la luce,
come i vestiti restano
vuoti e i tacchi dimenticano
l’equilibrio, come la finestra
resti a guardare e il mobilio
ad arredare, come fuori
tutto sia uguale,
come i giorni, come gli impegni,
come si riesca ad annullare.

sette

deve esserci un’ulteriore inversione
nel cromosoma, una frattura
nascosta della catena
in cui nessun enzima riesce a penetrare,
una rottura irreparabile,
un filamento che continua a strapparsi
orientandomi verso l’abbandono,
generando una cisposa
difesa negli occhi,
l’assenza feroce di una risposta,
deve trattarsi
necessariamente di una perdita,
una fuga progressiva
della materia, dei ricordi,
degli sguardi, del tono
caldo della voce.

dove sei?
padre, uomo,
amico, mentore,
su quale sedia elettrica
ti condannano?
morirai nuovamente
tu ultimo dei giusti?
mi lascerai ancora
sola, ansante,
a guadare queste acque?
i gorghi freddi
che scherzando battezzammo giorni,
una ressa senza te
mi avvince,
lasciandomi disattesa,
conclusa.

Poetica di un’immagine

“Regarde attentivement car ce que tu vas voir
n’est plus ce que tu viens de voir”
Leonardo Da Vinci

Guardiamo un film in tv, uno dei pochi sopravvissuti ai canali a pagamento, è da tempo che non si accendeva la scatola, è incalcolabile la sparizione di tutti i film per mano di pochi, volgari, assassini camuffati da conduttori; evidentemente la scatola nera registra i nostri giorni, evidentemente, guardiamo un film senza pretese, di quelli che fanno un po’ ridere, un film impossibile. C’è una sorprendente fonte di felicità nell’alternanza delle immagini, da quelle con una regia fasulla [una rappresentazione della storia è già un primo indizio dei fatti] a quelle pure [i gesti semiautomatici di lei].
Si alza dalla poltrona, fruga nella madia, le mani si spostano freneticamente, i gesti si fanno silenziosi, sequenze mute di mani tra le tazze, un dejà vu di mani convulse, mani che finiscono e poi riprendono, movimenti imprecisi, come quelli di sua madre. I vecchi cercano, c’è sempre un vecchio intento a frugare nella storia e le immagini che li restituiscono interi sono pure.
Poetiche inspiegabili, nessuna regia, nessuna volontà di chiarimento, il cielo si nasconde dietro le nuvole, i vecchi frugano, le onde si ripetono, il cuore trema, il tempo si consuma lentamente come le mani scheletriche dei vecchi, i colori del sole, la memoria della spuma sulla sabbia. Si registrano fatti, senza desiderarne la ragione; poetica di dolore-amore degli occhi.