trentasei corde di liuto

se chiami e spazi mi perdo
nella galassia nana della tua voce
e mi sembra di liberare polvere
di fata da tre piccole boccette,
se penso alla tua bocca,
che un po’ si increspa un po’ si stende,
vedo il movimento delle foglie
e il filo traslucido di un baco da seta,
ma è se sfioro l’impressione del crespo
e le rotondità bianche dei frutti di gelso
che l’otto continuo della tua testa
suona come trentasei corde di liuto.

argine della parola inverno

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dispersa ora che vivo gli oggetti di un uomo
venuto dal mare, mi torna un’aria fredda,
la salmastra azione del tempo su quel poco
mio e la memoria
cade come polvere sotto il burocrate
quotidiano, un’equilibrata contabilità
della morte, finanche la penombra e i modi
delle stagioni, i cieli, cambiano, muovi nella nebbia
e i palazzoni hanno troppe finestre per famiglie, occhi
che ti osservano vuoti,
gli inquilini, li incroci
alle fermate del metrò stretti nei pensieri
come nei soprabiti, segreti come cifrari,
si sta alla vita come le cose
abbandonate alle case,
si passa senza restare.