*

penso a te da questo luogo
neutro che chiamo trasparenza,
fiancheggio un fronte più gelido
della neve, cerco ciglia, bocca,
un varco ma non ho uscite.
Fiuto indumenti e inseguo
una traccia come un cane
ma tu muti nome e sul foglio
da cui ti scrivo ho solo un’acqua
pari, da questo abisso ti chiamo
aggrappandomi ai margini
di una pagina che di fatto tace,
pronuncio ogni ruga dove
il cencio increspa la memoria
e la paura è un bosco inconcluso,
un buco intestino che dilania
materia e tempo, che piega
ricordi come cucchiai avvolti
in lingue di fuoco. Appari
nelle ore che allungano
quello che rimane sull’assito,
una giacca, una collana di libri,
una pentola sui fornelli spenti,
la guazza verde degli occhi
e quel poco di me che ancora
torna dall’infanzia, i sogni
della nostra casa disabitata.

cronache dal gelo 5

ah lo so, questa volta resterai
coperta dalla neve e nessuno
potrà salvarti neanche la morte
con occhi vuoti e il suo drappo
porrà fine al tuo male in bocche
di bigattini bianchi, nel tuo gelo
[dove persisti] non arrivano morsi.
La soglia che lascia uno spiraglio
al viso è una coltre di ghiaccio
e tu sorridi, lontana, imprendibile,
con un seno gravido e un chicco
di grandine tra l’indice e il pollice
lì dove il vomere dell’amore apre
profondità impenetrabili, chicco
muto, cuore che non germina
lontano da quella sola mano,
da quell’unica bocca che ha
un forno dove cuocere un raro
pane, una manna, la grazia
dal cielo, oggi incessante gorgo

*

tutto scorre, il mio osservare
un sistema che perturbo, la vita
come una donna che si copre
di un drappo bruno, foglia
dopo foglia la resa dell’autunno.
Nel “crac” degli stecchi la natura
nuda di Cracovia, la bruma
dei tuoi ricordi, disperso
nei corpi, io pulviscolare
mentre dal sole colgo brevi
salti di delfini sui filari
metallici delle vigne.