Loggiato veneziano

all’odore delle alghe,
nello sguardo dimenticato
sulle facciate bianche,
quel lento lavorio
della salsedine sulle ringhiere,
al porto il frangersi
del mare e la vernice
scrostata dei gozzi,
le mani tagliate dei pescatori,
mi anticipano l’ultimo calco, le reti
incorporee da riparare
al passo strascicato, del piede,
della lingua, del tempo lungo le arterie,
butto lì la donna,
sulla pietra viva, tra
un rivolo di sangue
e sogni, si dirà dopo
del vuoto inutile
della carriera, dell’uomo
e dell’assenza di un padre.

Il terzo canto

I ricordi di te
crepitano spianandosi,
connessi come grafi
ai nodi dei larici
nella foresta
in cui inizio io e inizi tu,
mio declivio cupo, fitto bosco
di silenzio e tentazione
dalle carezze mille volte diverse,
tu, stagione che svanisci
nell’immagine di me
dopo avermi offerto gli occhi,
specchio che rimandi
il volo innocente del mio crederci
e la voce del disinganno nel canto
stridulo di un gallo.

due

Nel tempo lui mi erode
sotto le mani, il pensiero di lui
si ispessisce in ogni interstizio,
sgretolandomi
quando ghiaccia
e mi abbandona,
poi ritorna piano, con una voce,
un vento che mi stacca
portandomi lontano;
lui è un buco nero,
le polveri, gli ammassi,
i sistemi stellari tutti,
i gas mortali della mente
ed io oscura, come
il vuoto che separa i nostri
due corpi.

quinta

replicare in ogni tua piega
della bocca la scena
del bacio in cui mi afferri
con la destra, nell’assenza
delimitare uno spazio
impossibile di manovra
ricorrendo alla teletta
delle parole dove 
nascondiamo il ‘vero’
svolgimento del desiderio,
le mie imperfezioni
e i tuoi autocontrolli.