la sedia di Dio

Se Dio sedesse su questa sedia
forse farebbe un clamore d’ombra
sulla parete, se Lui lasciasse i cieli
si potrebbe scorgerne l’impronta
ma in questa luce pallida io resto 
ad ascoltare la musica nelle canne, 
la fiamma mancata nel candelabro, 
la voce di ogni oggetto respinto

purtroppo

l’estremità delle unghie
si annerisce e un tono
brunito si apre sulla pelle
come un lago minuto
nell’ora del crepuscolo,
la superficie liscia
è anche carneficina
nel lavandino e un nido
che resta raccolto,
opaco, vuoto, morto,
quanto alla nuca
si direbbe smagrita
nella notte e nel nome
di una donna che entra
dicendo “purtroppo”
con un peso che si lascia
andare e solo dopo
affiora nella nostalgia
di tutta quella vita chiesta
e rimandata, tradita, ferita

*

in alto, guardando tra i tetti
di un caffè francese o anche
in certi film del maestro Ozu,
la notte si vela quel poco
di bianco e un breve sogno
mi prende per mano, suoni,
foglie di lunaria dico, parole
fumose, sono trasparenza
un diorama di fili d’angelo.