spirale

così dispersa,
meticolosa intorno al polo
senza mai raggiungerlo,
secreto cristallo
e lamine, iridescenti durezze
dove si ritira la paura,
l’istinto primordiale
della fuga.
La formazione della conchiglia
è lenta e troppi mesi
scavano il nicchio; l’oceano
ha profondità inarrivabili per le grazie.

trotter

sull’asfalto dell’area
agricola riconvertita
crescono filari
di pallidi mattini,
le rogge chiare scorrono,
immutabili come il tempo
che ha visto compiere
la ferrovia e se
nel bacino della sua manodooera
la misura degli eventi fulmina,
tra il tiglio selvatico, l’olmo
l’ailanto e l’ippocastano,
tutto è uguale,
sempre accolgono le pause
del volo tra i tetti dei rondoni,
sempre, i labili gridolini dei bambini.

in sintesi

minima e duttile,
ogni naufragio porta con sé
lo stato di grazia necessario
per una sottrazione,
la misura esatta di una proporzione, un enunciato,
“io sto a me come il caos sta al determinismo”
seguono empirici esercizi di funambolismo, miracolosi
equilibrismi tra tetti soleggiati e carogne di piccioni.

mm

A
lui è alto 1,75, io 1,80 circa. È mezzo vuoto, sacrifico insalate e frutta e mi faccio sua ospite, ah! se non fosse per la tempesta di neve che si porta dietro.

B
chiudo la porticina di vetro, apro la doccia, formerei un acquario naturale se la finestra non lasciasse fuggire acqua e policheto.

C
resto basita, sciogliendomi, raccolgano le lenzuola le acque di questo pianeta.

in centro

e se ombrosa e piccola giro
tra guglie e vetrine, se accordo
le sassaiole dei tacchi,
i passanti e i ritmi,
l’asfalto mi attira e trema
e la città colpisce con la mano
di un miserabile, un vuoto,
lì, dove ipotizzavo
dita tra i capelli e un fiato
per le nostre bocche,
pervade l’odore
di ferro metropolitano.