Dicesti ti farò del male
e fummo carnali
perdendo quella piccola
ala al centro del calcagno
che ci aveva resi unici
un po’ celesti; spogliandoci
diventammo inesorabili isole.
Mese: febbraio 2020
*
Lo zero lungo la linea
dell’orizzonte è una goccia
perduta d’opale, un vuoto
di forma e di luna, dico.
Profumi amari, verdi,
di aloe e mare cingono
l’isola di bruma, altri dolciastri,
di cloroformio, cullano
un’ora mutilata, l’assenza
sembrerebbe un intento,
un’onda volta a rimuovere
i nostri passi e noi uniti
un tempo per mano.
*
e l’ammucchio con lo sguardo,
la raccolgo in seriche setole, forse
ciglia questa polvere di terra
verde pigmento, cresce
l’albero nella natura pulsa
la stella, tra vuoto e un fuoco
un fondo, le onde, è tutto
andare in una densità di nero
con la radice confitta al suolo.
Dove risuona cerchio e quadrato
trovo quattro petali rossi di loto
e un’acqua che gira in sciame.
*
Questa è solo un’allusione
senza volto
il ruggito
delle onde non carezzano
il nostro debole.
I muti gabbiani, reclusi,
non ritornano. Tutto è come
se ardesse di un purpureo
a due epoche come un archeologo
che beva, un vino
dal coccio di un vaso.
Crudele con più
indifferenza cresce
un pensiero criminale.
Chiedo ragione muto
geroglifico, natura.
*
In quello che si incrocia
il senso celato della perdita.
Grigio perla, morsa dal tempo,
la vernice è prossima
a un’ironia di ibischi fioriti
nella plastica, trema l’aria
e un fitto di visi lontani
anche il codirosso è volato via,
sono sola a reggere l’inverno.
*
L’occhio del ciclone è morte
indolore, tutt’intorno nubi
torreggianti, vendetta di venti,
trasparenza nel modo di gemere
uguale dei rami poi spezzati
in aguzze estremità di legno.
Prossima a una sommità
di ceppi sono erba, tremo!