Santa Maria Maggiore

Dove finisce il tuo corpo e inizia il mio
mentre ti allontani?
in quale casa si ritirano
gli echi delle voci
quando i crepuscoli allungano
le nostre ombre mute?
E il confine delle cose?
dove si separano,
se ora le tue mi restano
tutte tra le mani,
testarde testimoni
del presidio.
Restaurerò nei giorni vuoti le cure
dei tuoi occhi vigili, così vicini
alla bellezza lignea della nostra
madonna con il bambino.

Il passo della vita

Rinnovo la luce del tuo sorriso
e l’emozione nei tremori della bocca
ogni mattino che ti trova
lontano.

La grazia di amarti nelle
poche ore che ci uniscono
scandisce il passo veloce della vita,
l’incedere nei flutti del tempo.

Dal provvisorio dell’istante che ci separa,
all’eterno di un abbraccio,
n o i , ininterrottamente contesi
tra il precipizio di un addio e la vertigine di un bacio.

Statistiche

Voglio, il serpeggiare deciso
di un verme sulla mela d’oro,
che marcisca in un sacchetto
Paride e il suo giudizio,

il frutto delle chiacchiere
bene dei salotti;
che cadano gli dèi
dalle poltrone,

dalle serate glamour in cui
sfoggiano un ruolo,
che si stacchi come una stella il figlio
del politico dai troppi favori,

e che bruci facendo la gavetta,
che cresca,
ad uno ad uno, tutti i calli nelle mani
stringendo chiavi inglesi e bulloni,

che si sporchi e incanti
guardando l’oro colato dalla siviera,
dimenticando la chimica e le sue sostanze
almeno per un giorno,

che si scontri con la precarietà della vita
e faccia quadro tra bollette e salario,
che vada al mercato
per risparmiare pochi euro sulla verdura

e fugga dalla sua gabbia dorata
riparandosi nella bellezza delle voci popolari,
nella malia del richiamo della fruttivendola,
simile ad un riff, che ci lasci per sempre gli occhi

su quel decolté naturale,
nel suo sguardo lacustre;
sudata,
più del normale,

ha come riparo l’ombra
delle lenzuola che
si gonfiano profumate di bucato
nei vicoli del quartiere.

Si urli finalmente il vero,
faccia eco nello scheletro
che la fabbrica ha lasciato;
un vuoto tra i palazzi, un silenzio

che continua a far rumore
lì dove protestavano i cori, nella resistenza
di quelli che ogni mattina
si inventano un lavoro a cinquanta

anni, dei cassa integrati
moltiplicati dall’ingordigia delle banche,
dall’incidenza degli interessi
sui conti economici delle aziende,

dei precari che sognano di sposarsi
ma che non hanno il contratto a garanzia del mutuo,
dell’operaia che ha lasciato la mano destra
sotto la pressa e che non ha gli anni per la pensione, dice che lo stato

le riconosce poche centinaia di euro di invalidità
e che per questo si crede nel giusto
mentre dispensa privilegi ai suoi dirigenti,
a quelli che hanno bisogno dei consulenti per rivoluzionare la costituzione,

per decidere come e quando dilazionare l’imu,
o chiamarle come  D i o   s o l o   s a  queste tasse dell’ingiustizia,
questo continuo stringere il cappio
intorno al collo del primo e del secondo scaglione,

perché per loro questo siamo,
l’insieme indistinto dei numeri che popolano una statistica,
una base di calcolo
senza più dignità.

I corvi

Lo scalpiccio allegro oggi si allontana
facendo risuonare l’assito
nelle stanze che si fanno cassa
e la memoria di allora il sintomo.

Era passato Natale,
il mio corpo caldo nel pigiama rosso,
le luci intermittenti spente
da meno di un mese sull’albero.

Le otto del mattino,
di trentadue anni fa,
avevano il sapore del pane nel latte caldo
e le regole semplici della mia famiglia.

Tutti intorno al tavolo,
ad ascoltare le notizie dalla piccola televisione,
la commozione raccolta tra le antenne e le immagini in bianco e nero,
nella parola che non capivo ribadita dal telegiornale.

Diceva terrorismo
ed io vedevo gli occhi lucidi di mamma
e il tono cupo raccogliersi nel nome di Guido,
lavorava in fabbrica Rossa,

era un operaio,
aveva scelto una lotta ragionata,
di grandi ideali; gli hanno sparato
e dopo la politica è cambiata.

Parlava dei molti corvi,
pronti a colpire il sindacato,
correva il ‘79 ed avevo otto anni,
certo, non potevo immaginare come e cosa avrebbero beccato.

Sembravano orbitare radenti ai mobili arancioni,
aprire un solco nell’aria greve della cucina
echeggiante delle voci lente e serissime dei presentatori
ed io credevo fossero davvero uccelli le figure beffarde nella mia testa.

Guido se n’è andato e con lui le ideologie,
dopo l’opposizione si è piegata
trasformando le poltrone in una professione
e adeguandosi alle logiche dell’economia.

Il presente appartiene ad un mondo ricucito male, tornano le otto in cucina,
rombano nel ticchettio dell’orologio,
nello stridere dei minuti e degli pneumatici sulla strada,
nei brontolii del frigorifero.

Le otto del silenzio,
con le notizie mute della rete
in cui tutti non esistiamo,
la folla che fa di noi una sola dispersione.

Le otto di tutti i miei presagi,
dei frammenti di mondo
che spariscono nella vertigine dei ricordi,
del mio diventare un ‘essere‘ taciturno,

mentre fuori il mercato rischiara
sotto un cielo che si interrompe tra i rami ed il rimpianto,
in qualche sfumatura di rosa, lontana,
come la volontà dei singoli e del mondo.