4

con levigata perizia radunare le prove
minori, i piccoli pezzi, i nostri intenti
per valutare l’autenticità della cosa
che si rompe, sopportarne il riconoscimento,
e giurare la parola ‘vero’ è impossibile,
troppe motivazioni storiche nascoste,
una certa regolarità nei fallimenti, vero
quindi non è un aggettivo conforme
alla realtà in sé della parola, né
l’aspetto delle pasture del viso, ma la somma
massima di sventatezza che la parola contiene.

3

come un amanuense, copiava,
praticava minime correzioni
al testo, ordinava sequenze,
le ore, i giorni, non erano
che infedeli riproduzioni,
discreto calligrafe sognava
di essere miniato
e scriba non proprio di un’abbazia
dava pastura al corpo con lunghissimi
ritiri interiori, ispessendo
il silenzio, adagiandosi
in un interminabile inverno.

2

belle beccacce, alzavole pregiate, carni
vietatissime, di cacciagione nobile
per palati raffinati, un piumaggio
rosso bruno che tormenta l’aria, un pullulare
giulivo di becchi e grandi occhi neri gravita
in cieli molto costruiti, è breve
il movimento della canna
che esplode il proiettile,
il rinculo e lucido l’occhio
che lascia il mirino,
calma la mano che si netta
dopo aver levato la pastura.

1

sempre più mi muovo
su un terreno spugnoso,
con cavità scurissime,
sempre più diminuiscono le resistenze,
e so che questo lascia margini
a una malerba spinosa
che danneggia le piante utili
parassitandole nelle ore, senza
che io muova alcuna intenzione
di intromissione, senza
che sottragga questo terreno
a una rovinosa pastura.

*

se tocco la superficie
muscolosa del miocardio
trovo una spinosa presenza,
un irrisolto rompicapo,
quest’ordigno resta
perlopiù inavvertito, soffocato
da strati di giorni e gelo,
ma se tu improvvisi un gesto,
un’insperata conversazione, emana
un’incontrollata energia, una
pericolosa onda d’urto
che espande e spezza il fiato,
chiedevo mascherando “come stai”
dicevo “io, ora, vivo grazie e tu”
poi desideravo tenerti in una serie di pagine,
capolavori di letteratura postmoderna.

perciò io vivo nei sogni

gli uomini erano necessari
e si aiutavano, avevano dimenticato
le piccole efferatezze e sistemato
per sempre i coltelli nel seminterrato,
non giudicavano, operavano solo
per il bene comune, mormoravano
come limpidissime acque e le sere
si ritrovavano felici nelle case,
nettando sugli zerbini quel poco ego
rimasto, riempivano del giusto lo
svuotatasche e tutti
erano uguali, privi
di un’ansia inutile di affermazione e se uno
di loro cadeva, l’altro misurava in utilità
il tempo per rialzarlo, e se uno di loro pensava
di morire su un binario, l’altro non imprecava per il ritardo.