Rovine e speranze

Sei e trenta, l’alba percorre
l’aria di parcheggio
dell’ospedale, portandosi dietro
un principio d’afa e il nuovo giorno.
Quattro colonne di mattoni rossi
e un tetto di legno
rivestito di metallo,
formano un gazebo,
un microsistema discreto, delimitato
dalla bellezza trascurata di
un roseto e dallo
stormire dei salici.
Una di fronte all’altra,
due panchine si guardano senza rimedio,
nell’assenza di una storia umana
che le occupi, sul pavimento
di maioliche una rosa
dei venti sembra rendere possibile
un orientamento
per questo mare di dolore.
È forse un salto spazio-temporale
per riprendere la vita
e dimenticare questa alternanza
di rovine e speranze?

Bellezza dimenticata

Le ombre dei rametti
della barba di Giove
nel mio mondo
si muovono come creste

e flutti sulle pagine,
facendo il moto
che tace nella dolcezza dolorosa
dell’ultimo capitolo di piccolo mondo antico,

lì sembra che le acque e i lumi
facciano il silenzio delle cose
che qui dicono nel tramestio
dei ragnetti rossi intorno alla rosa,

un giorno di riposo riconcilia
con la bellezza della vita
che troppo spesso vuole
misurarmi la fede con l’orrore.